A TU X TU con il pianista siciliano Davide Santacolomba

“La musica mi racconta ed è passione, rifugio, condivisione”.

Lo scorso 28 settembre, in occasione della manifestazione Piano City Palermo, in tanti hanno raggiunto all’alba il Porticciolo di Sant’Erasmo a Palermo per assistere al concerto del pianista siciliano Davide Santacolomba.

Chi c’era racconta di aver ascoltato le prime note del pianoforte di Davide Santacolomba confondersi al rumore del mare, di aver sentito la melodia crescere insieme alle prime luci dell’alba, di aver percepito potenza e malia della musica.

  • Davide, cosa ricordi di quella mattina?

Ѐ stata una delle emozioni più belle della mia vita, una foto ricordo ben impressa nella memoria che difficilmente dimenticherò. Quando sono arrivato alle 5.30 del mattino per il sound check c’era già un gruppo di persone ad aspettarmi, un gruppo che andava via via aumentando col passare dei minuti.

Alla fine di ogni brano sentivo la luce sempre più intensa, la brezza del mare di Palermo…inconfondibile.

E vedevo crescere il mio pubblico sempre più numeroso, vicino. Mi sono sentito al centro del mondo e “abbracciato” da tutta Palermo, la mia città, ripagato dei miei sacrifici.

La passione per la musica Davide ha scoperto di possederla poco più che bambino, nello stesso periodo in cui ha saputo di essere affetto da un’ipoacusia bilaterale grave. Un dono grande, un talento innato per la musica e il pianoforte, che Davide ha coltivato nel tempo nonostante la sordità, colmando ciò che non c’era – l’impossibilità a sentire suoni acuti e la difficoltà a percepire quelli medi –  con caparbietà, intelligenza e genialità.

Un diploma accademico col massimo dei voti, due master a Lugano – Master of Arts in Music Pedagogy e Master of Arts in Music Performance –  con la famosa pianista ucraina Anna Kravtchenko, concerti in Europa e nel mondo in contesti prestigiosi come il Sinfonia Varsovia Hall e la Chopin University Hall di Varsavia, la New York University e il National Olympic Hall a Tokyo…Davide è inarrestabile e continua a conquistare successi ed emozionare con la sua musica.

  • Come sei riuscito a trasformare un limite oggettivo come la tua sordità in un modo unico ed eccezionale di fare musica? Qual è il tuo metodo di studio?

Il mio è un metodo di studio abbastanza particolare basato su un processo di trasposizione dei suoni acuti, a me preclusi, nel registro dei suoni gravi che invece percepivo bene. Sin dal mio primo approccio alla musica sentire l’effetto sonoro, la nota, il risultato di quel tono nel registro dei suoni gravi mi permetteva di immaginare e fare mio l’acuto. E’ un lavoro complesso e spesso snervante che richiede molto tempo, molta memoria e logica ma è indispensabile e lo uso anche ora che, grazie al mio impianto cocleare, posso percepire quasi tutti i suoni acuti.

Ho imparato poi nel tempo a fidarmi dei miei sensi, del mio tatto ad esempio. Mi basta guardare le mie mani e percepirne il tocco associandolo alla nota, al ritmo della musica. Ѐ per me molto importante il feed back del mio insegnante, degli amici, del mio pubblico. Ti faccio un esempio: grazie al punto di vista di chi mi ascolta mi sono reso conto che quando suonavo “troppo forte”, rendendo il suono che arrivava sgradevole,   il mio corpo si irrigidiva. Oggi so che quando questo accade mi basta rilassare i muscoli per ottenere un “bel forte”, sonoro, tondo, gradevole.

  • C’è qualcuno che ti ha aiutato e supportato in questo percorso?

La mia prima insegnante al conservatorio, Giovanna De Gregorio che mi ha portato al diploma in pianoforte. Ricordo ancora cosa disse a mia mamma all’inizio: “Da suo figlio non mi aspetto tanto…ma di più”.

Sin dal primo momento è stata incredibile perché ha capito quali erano i miei punti di forza facendo leva su ciò che c’era lì dove qualcos’altro mancava. Mi ha permesso di tirare fuori la mia sensibilità musicale e il mio modo  di “sentire” la musica. Per me coinvolgimento emotivo e partecipazione sono essenziali. Quando suono,  lo faccio mettendoci me stesso, il meglio di me.

Con  Anna Kravtchenko sono poi  cresciuto artisticamente in modo esponenziale. Oggi, grazie ai loro insegnamenti sono in grado di “correggere” questa mia “imperfezione”, se così si può chiamare e far diventare tutto “perfetto”.

  • A dimostrazione del fatto che fare e fruire musica è qualcosa che prescinde dall'<avere orecchio>, cosa significa per te “sentire” la musica? Quante accezioni ha per te il verbo <ascoltare>?

La musica si ascolta soprattutto con il cuore. Bisogna capire come suonare fedelmente un testo, saper risolvere i passaggi tecnici più difficili, essere in grado di andare in velocità, rendere facile qualcosa di difficile. Poi però entra in gioco l’interpretazione del testo, ciò che il compositore ci sta trasmettendo attraverso la partitura, sensazioni e sentimento. La musica contempla tutte le sensazioni umane: l’amore, la bellezza, la felicità, la tristezza. Fare e capire musica significa farle proprie, fruirle attraverso il proprio vissuto, immedesimarsi e sentirsene parte. Questo è quello che faccio io. Decido di far durare una pausa un po’ più a lungo  perché quel momento richiede  riflessione; enfatizzo un crescendo per trasmettere tutto il mio coinvolgimento e il mio sentire in quel preciso istante. Ѐ questo il mio modo di suonare: entrare nella piena comprensione del testo e del messaggio che vuole dare il compositore ma allo stesso tempo suonarlo come se fosse la mia vita, come se mi stessi raccontando facendolo arrivare al pubblico. E questo vale anche quando ascolto suonare gli altri, nei limiti ovviamente in cui posso sentire.

  • Che tipo di musica ti emoziona? Se dovessi scegliere solo tre brani, quali suoneresti e perché?

Mi piace Beethoven perché è sincero, le sue composizioni arrivano subito, in maniera diretta al fruitore. In questo momento sto appunto suonando Chiaro di Luna, la Sonata. L’ho scelta perché quest’anno ricorre il 250° anniversario della nascita, un anno importante. Poi, sai,  Beethoven ha avuto problemi molto simili ai miei – una sordità crescente – e io mi ci sento molto vicino. Ne capisco le sofferenze, le speranze, il suo desiderio di felicità.

C’è poi Schubert, con Improvvisi, Opera 90. Anche lui genuino, diretto, riversa in musica tutto quello che sente, che pensa, senza filtri. Anche la vita di Schubert è stata parecchio travagliata, anche in lui c’era sempre quella voglia di raggiungere l’obiettivo, il raggiungimento della felicità. Anch’io sono sempre alla costante ricerca della felicità. Lo sono sin da quando, adolescente, facevo i conti con il mio problema e cercavo il mio posto tra gli altri. La musica per me è stato rifugio e strumento. Attraverso la musica io potevo esprimermi e gli altri riconoscere in me sicurezza e tenacia, includendomi. Senza la musica non so dove sarei finito. La musica è stata la mia salvezza.

In Chopin mi ci ritrovo tanto come in tutta la musica romantica. Di Chopin sceglierei il concerto in mi minore, il primo concerto di Chopin per pianoforte e orchestra. Spero un giorno di riuscire a suonarlo con l’orchestra. Anche se, come ti ho detto, la mia vita è cambiata grazie all’impianto cocleare, non riesco ancora a scindere e a discriminare ogni singolo strumento di un’orchestra che suona simultaneamente. Ho avuto l’occasione di suonare Chopin per ben due volte con l’orchestra a Varsavia ed è stato veramente difficile. Guardavo solo le braccia del direttore. Eppure posso dirti che suonare accompagnati da un’orchestra è stupendo: ci sei tu al centro del mondo accompagnato da un’intera orchestra, tanti musicisti attorno a te…un’emozione incredibile. E poi questo concerto è TANTISSIMO romantico, pieno di bellezza, stupore, amore.

  • E un brano pop, ce lo mettiamo?

Vada per Creep di Radiohead. L’ho suonato al porticciolo di Sant’Erasmo e mi sono divertito da matti alternando pezzi classici a pezzi pop.

  • Facciamo un po’ di gossip…com’è Akie Abe, la first lady giapponese? Ci racconti la tua esperienza in Giappone la scorsa estate?

Suonare al National Olympic Hall di Tokio, la first lady Akie Abe che mi accoglie nella sua dimora e  ringrazia me e gli altri vincitori del concorso che si era tenuto a New York e dove ero arrivato secondo…che dire, un’esperienza a dir poco indimenticabile. Mi ha colpito molto quello che mi ha detto e il modo in cui mi ha fatto capire quanto il tema della disabilità la toccasse, come apprezzasse chi riesce a trasformare i propri limiti in opportunità.  

Ho avuto modo di trascorrere qualche giorno in Giappone e … ti senti lontanissimo, in una realtà davvero diversa. Mi sono rimasti impressi i colori, la perfezione delle cose, il modo in cui tutto funziona bene ma soprattutto il rispetto tangibile e quasi reverenziale per il prossimo. Spero di tornarci presto.

  • La tua è una storia straordinaria che arriva al cuore delle persone perché hai dimostrato che nulla è impossibile e che ciò che appare un limite invalicabile può essere aggirato contando sulle proprie risorse e su ciò che rende unica ogni persona. Come può la tua musica aiutare chi ha un handicap con cui fa i conti quotidianamente? So che per esempio ti sei da poco esibito al concerto “We listen, we serve” a villa Molin, a Padova. Il sistema che hai adottato per studiare musica può essere d’aiuto per altri?

La villa di cui parli è un luogo meraviglioso, ricco d’arte e di storia. Suonare per un pubblico composto anche da persone sorde supportate da un interprete LIS che si sono avvicinate alla mia storia e al mio percorso è stato un incoraggiamento per loro e una gratificazione per me. Ti ho detto che per me la musica è stato il mio primo rifugio e il mio modo per comunicare con gli altri, per dire ciò che non riuscivo a dire. La musica può essere utilizzata per tanti altre disabilità come l’autismo. Ci sono ad esempio corsi di musicoterapia di cui non sono in grado di spiegare le dinamiche cliniche ma so per certo che la musica unisce, la musica è condivisione. Quando si condivide ci si sente inclusi, ci si sente parte del gruppo e tutti i problemi spariscono all’improvviso.Mi chiedi se il mio metodo di studio può essere utile…non lo so. Ci sono molti pianisti ciechi che suonano ma pochissimi sordi. Viaggiando ho conosciuto molte realtà di sordità e musica ma riuscire a suonare senza sentire bene è una cosa oggettivamente molto difficile. L’udito è la prima cosa che serve nella musica ma come avrai capito non è l’unica. Al concerto di villa Molin c’era anche il Professore Alessandro Martini, un luminare nel suo campo che mi ha operato e grazie a cui oggi ho un impianto cocleare. Ci tengo molto a sottolineare quanto la mia vita sia migliorata grazie a questo impianto che in molti credono non funzioni. Funziona e se io adesso suono e parlo così è grazie a questo impianto. Non sento come una persona “normale” – ti facevo l’esempio dell’orchestra e di più suoni insieme in velocità – ho ancora bisogno di leggere il labiale e di indossare una cuffia al telefono ma quasi tutta la parte del registro acuto che prima non percepivo ora la sento. Tante sfumature, suoni che mi permettono una qualità della vita decisamente differente.

  • Quando avremo il privilegio di ascoltarti nuovamente in Sicilia?

Vi do appuntamento l’11 agosto all’Arena delle Rose a Castellamare del Golfo. Spero che la magia di Piano City si ripeta e mi permetta di emozionare e emozionarmi in location mai scontate, come è accaduto a Palermo, al porticciolo di   Sant’Erasmo e in occasione del concerto dedicato a Padre Puglisi,  e a Milano, in un centro commerciale che si è trasformato in un incredibile teatro durante una mia esecuzione in notturna.

  • Ci hai raccontato che grazie al tuo impianto oggi puoi sentire suoni prima per te sconosciuti. Quale ti ha più sorpreso e quale associ e ti ricorda la nostra Sicilia?

Quando una persona ti è accanto, è vicino a te e sussurra. Quel suono crea tanta complicità, coinvolgimento. Un altro è lo “scontro” dei calici che io pensavo fosse più un CRAC e invece è un DING, un CIN!

A Palermo mi ha stupito il rumore del traffico che in realtà gioca molto nel registro dei suoni gravi quindi lo percepivo. Oggi si sono aggiunti quelli acuti e capisco perché tutti dicano che il rumore del traffico a Palermo è così forte!

C’è però un suono che associo subito a Palermo e mi emoziona ed è il suono dei gabbiani. L’ho scoperto mentre passeggiavo alla Cala con un amico a cui ho chiesto cosa fosse quel suono che arrivava dal mare. Non pensavo che i gabbiani emettessero un suono e il loro è tra i suoni più belli che ho scoperto e che mi legano alla Sicilia. Ne scoprirò senz’altro di nuovi…

Come sempre, un grazie grande al personaggio della rubrica di Siciliando dedicata ai talenti e alle eccellenze di Sicilia. In questo caso, un grazie doppio a Davide Santacolomba per la spontaneità con cui ha risposto alle mie domande e al modo diretto, autentico ed entusiasta con cui l’ha fatto. Lo stesso con cui mi pare affronti la vita. Grazie Davide.

Benedetta Manganaro