La parola è <bellezza>. Bellezza è la prima parola che ti viene in mente sfogliando <Il leggendario Federico II>, edito da Giambra , il nuovo libro, l’ultimo nato, di Lelio Bonaccorso, fumettista e insegnante presso la Scuola del Fumetto a Palermo e di Valentina Certo, già autrice di biografie romanzate come <Caravaggio a Messina> e docente di educazione all’immagine presso la Lumsa di Palermo.
<Il leggendario Federico II>racconta la vita dello Stupor Mundi, come regnante illuminato ma anche come uomo, e lo fa come lo si farebbe con una fiaba: la nascita e l’amore tra i genitori, Costanza d’Altavilla ed Enrico VI, gesta e battaglie, la Sesta Crociata in Terra Santa, <gli esercizi di bellezza> nella Monreale del Duomo, la Palermo della Kalsa e dell’Albergheria, i paesaggi mozzafiato sull’arcipelago delle Eolie dai megaliti dell’Argimusco.
- Quanto bisogno abbiamo di bellezza oggi Lelio?
“La necessità di bellezza è connaturata alla natura umana e alla sua evoluzione. Il momento in cui l’uomo mette in risalto la bellezza e non le brutture è un elemento identificativo dell’arco evolutivo di un determinato periodo storico. Oggi è evidente che abbiamo bisogno di molta bellezza, considerato ciò che di tragico accade nel mondo, ma è anche vero che c’è molta bellezza che non viene narrata. Pensa alla bellezza della natura, alla bellezza di quelle cose che non fanno notizia. Probabilmente sono proprio le cose che dovremmo cercare di mettere in risalto. Credo in fondo che sia veramente tutto a portata di mano e che non ci sia niente di veramente distante. Sta a noi vederlo”.
Siciliano, messinese, Lelio Bonaccorso della sua terra parla da sempre, muovendosi tra storia e attualità. Ѐ del 2012 <L’invasione degli scarafaggi, la mafia spiegata ai bambini>; del 2009 <Peppino Impastato un giullare contro la mafia>, entrambi sceneggiati dal giornalista Marco Rizzo e editi da Beccogiallo. Resta indelebile la figura di Peppino che lotta dalla sua Radio Aut a suon di parola e in allegra ma consapevole disobbedienza contro il potere mafioso.
- Come vi siete mossi per ricreare la vicenda del figlio di Luigi Impastato, affiliato mafioso e di Felicia Bartolotta e adattarla al registro del fumetto?
“La vicenda di Peppino Impastato e il libro realizzato nel 2009 con Marco Rizzo per Beccogiallo è uno dei capitoli più importanti della mia vita, lavorativa e personale. Lavorare a questo libro ha accresciuto la mia consapevolezza rispetto a ciò che è il fenomeno mafioso benché già da tempo lo avessi affrontato con varie attività antimafia ed è stata un’esperienza molto emozionante. Peppino non è un personaggio dei fumetti, è una persona realmente esistita…Mi ha aiutato molto vedere i luoghi dove Peppino ha vissuto, incontrarne la famiglia, ascoltarne la storia dalla viva voce di chi c’era. Mi colpì la descrizione che mi fece Giovanni Impastato, il fratello di Peppino, quando gli chiesi com’era Tano Badalamenti. Non avevo mai disegnato un boss mafioso, non l’avevo mai incontrato e ricordo che la sua descrizione mi fu molto utile nella stesura dei disegni per identificarne caratterialmente il personaggio e per inserirlo nel contesto della storia. Sai, io mi auguro che ciò che Peppino era e ciò che ha fatto abbia lasciato il segno e se guardo ai tanti incontri che abbiamo realizzato nelle scuole e al fatto che il libro da più di dieci anni continui a vendere, mi rispondo che il segno è rimasto”.
- E’ una storia degli anni ’70, una piccola radio indipendente, tecnologia antidiluviana eppure parola e immagine hanno la stessa potenza dirompente. Cosa racconti agli studenti che incontri nelle scuole per spiegare Peppino e il tuo lavoro?
“Come tu stessa dici, la potenza del fumetto è quella di essere assolutamente immediata e universale grazie all’uso delle immagini. Devo dire che basta raccontare ciò che ha fatto perché Peppino abbia sui ragazzi una presa immediata anche perché Peppino non è un politico, un poliziotto che sono le figure che nella maggior parte dei casi vengono attaccate dalla mafia, diciamo quelle figure convenzionali che nell’immaginario collettivo sono i nemici dei mafiosi, no? Peppino è un ragazzo, un giovane, un poeta, un artista, un rivoluzionario, se vogliamo, rispetto la cultura in cui viveva, un personaggio all’avanguardia e come lui tutti i suoi compagni che ne condividevano il pensiero. Oggi parliamo di lui perché è stato vittima ma anche tutto il collettivo partecipava con la stessa caparbietà e con lo stesso animo ribelle che purtroppo oggi non è nemmeno paragonabile. Noi raccontiamo della sua vicenda, del modo in cui ha affrontato con ironia e irriverenza il potere mafioso e di come in realtà abbia raggiunto dei risultati. Peppino viene ucciso perché ridicolizza la mafia e ne mette in discussione il dominio, allora praticamente totale sulla popolazione”.
- Le maggiori case editrici nazionali – Bonelli, Rizzoli, Marvel solo per citarne alcune – pubblicano i tuoi lavori alcuni dei quali vengono adottati come libri di testo presso l’università; è di pochi giorni fa la notizia che arriva dalla Francia relativa al fatto che la tua storia su Peppino Impastato sarà tra i testi da leggere nell’ultimo biennio di liceo; ospite di eventi come il Salone del Libro e Lucca Comics, il tuo percorso lavorativo è sinonimo di arte, impegno, professionalità. Cosa consiglieresti a chi vuole fare il tuo mestiere? Te lo chiedono quando vai nelle scuole?
“Sai che quando ho iniziato il mio percorso a Messina non c’era davvero nulla che avesse a che a fare con il fumetto? Ho dovuto autoprodurre un libriccino insieme a mio cugino che mi scrisse la sceneggiatura e andai in giro per l’Italia a proporlo fin quando poi trovai la Scuola del Fumetto a Palermo che frequentai e dove poi diventai insegnante. Oggi è tutto molto più semplice perché le Scuole del Fumetto sono radicate sul territorio – quella di Palermo è una delle migliori al mondo – e con internet è facilissimo farsi notare. Consiglio di finire gli studi delle Scuole Superiori e iscriversi a una di queste scuole che permettono di fare un vero e proprio <salto> nella preparazione e nell’acquisizione delle conoscenze necessarie per affrontare il lavoro dell’autore di fumetti ma anche dell’illustratore. Lo consiglio però solo a chi è disposto a sacrificare il proprio tempo, parliamo di otto, dieci, dodici ore al giorno consecutive a disegnare, a chi ha costanza, passione e soprattutto tanto spirito di sacrificio e la consapevolezza che si tratta di un mestiere che non dà soddisfazioni immediate. Per i più piccoli esistono dei corsi brevi, dei workshop che si possono trovare a Palermo – a Messina ne faccio qualcuno anch’io ogni tanto – e in altre regioni d’Italia che hanno costi abbastanza accessibili e che permettono un impegno minore rispetto a quello della scuola, che richiede un’assoluta dedizione”.
Nel 2016 ancora un testo per i più piccoli con la sceneggiatura di Marco Rizzo edito da Beccogiallo <L’immigrazione spiegata ai bambini>, nel 2018 per Feltrinelli esce <Salvezza>: tu e Rizzo salite a bordo della nave Acquarius di SOS Mediterranée e ci restate per tre settimane percorrendo la Sar Zone ai confini con le acque libiche, durante le quali assistete al salvataggio di decine di migranti. <Salvezza> è il reportage di quanto vissuto in prima linea e per la prima volta gli autori appaiono nel testo.
- Non c’è il filtro dei libri da studiare, ricerche o carte da analizzare, solo persone in carne e ossa. Come avete lavorato? In che modo ha preso forma <Salvezza>? E come siete riusciti ad approcciare i personaggi della vostra storia?
“Fu Marco a parlare con Tito Faraci, il curatore di Feltrinelli e a proporre che insieme trascorressimo un periodo a bordo di una ong per raccontare cosa accade nel Canale di Sicilia lungo la Sar Zone. Ne è nata un’esperienza assolutamente forte, nel bene e nel male, fatta di persone, soccorritori e soccorsi, un vero e proprio teatro dove va in scena l’umanità. Ad aprirci la strada e a farci guadagnare la fiducia di persone con alle spalle esperienze drammatiche è stata ancora una volta la potenza del disegno. Il fatto che facessi dei disegni, dei ritratti, li sorprendeva e allo stesso tempo li rendeva felici e riusciva ad aprire un varco e a far sì che si confidassero e ci raccontassero quanto era loro accaduto. A bordo abbiamo capito quanto non arriva delle loro storie.
Molta gente non sa realmente quello che accade a causa di una informazione massificata che per cattiva fede o per mancanza di conoscenza, spesso è incompleta e superficiale. Ti faccio un piccolo esempio: molti credono che i migranti che arrivano dall’Africa abbiano con sé il giubbotto di salvataggio. Le immagini dei servizi televisivi li ritraggono così e l’idea che passa è questa. In realtà i migranti che arrivano non hanno nulla, neanche il giubbotto di salvataggio, il che significa morte quasi certa se cadono in acqua e non c’è nessuno nei paraggi”.
- Quale storia, momento, sensazione torna più spesso nel tuo quotidiano da quell’esperienza?
“Di storie ce ne sono tante. La storia che per me resta indelebile è quella di un bimbo eritreo di due anni, soccorso nell’ultimo salvataggio effettuato con noi a bordo, che ricordo aver visto giocare con gli altri bimbi sul ponte della nave e che, nella stessa serata, ho rivisto tra le braccia del medico di Medici senza Frontiere con una crisi epilettica e la madre che gli andava dietro in lacrime. Eravamo vicino la costa siracusana, arrivò una motovedetta della Guardia Costiera che lo portò a terra dove fu trasferito nel reparto di terapia intensiva del Policlinico di Messina. Io sbarcai il giorno dopo e andai a trovarlo. Lo vidi intubato. Mi dissero che a causare la crisi era stata una carenza di sali minerali. Il piccolo presentava tagli e cicatrici pregresse su tutto il corpo di cui probabilmente non si saprà mai nulla. Il bambino si è ripreso e ha raggiunto il padre in Germania con la madre e la sorellina grazie ai servizi sociali dell’epoca dell’amministrazione Accorinti. Come vedi si sfata un altro mito: i migranti non restano tutti in Italia…”.
- Leggo dal tuo profilo social “Per un artista parlino le sue opere. Il suo dovere è fare ciò che il tempo gli concede di realizzare”. Qual è il compito di chi narra e testimonia con la parola e per immagini? Quanto conta un’informazione corretta, anche attraverso strumenti altri, come può essere un fumetto?
“L’obiettivo del fumetto è raccontare delle storie attraverso parole e immagini. Spesso non ce ne rendiamo conto ma a parte respirare, mangiare, dormire e tutte le cose principali di cui necessitiamo abbiamo l’esigenza primordiale di storie. Noi stessi siamo storia che cammina su due gambe, storia personale che costruiamo pezzo dopo pezzo. Nel momento in cui realizziamo un fumetto non facciamo altro che veicolare delle storie, piccole o grandi, personali o meno, che lasceremo ai posteri. Questo credo che sia il motivo per cui gli antichi Romani scolpivano le colonne o gli uomini primitivi dipingevano le pareti: lasciare una testimonianza a chi viene dopo, una forma se vuoi di immortalità e un modo per tornare a se stessi, per capirne l’origine. Giordano Bruno diceva che nel veicolare immagini non facciamo altro che toccare le corde di quegli archetipi che sono dentro di noi, quella memoria ancestrale che è in ogni essere umano e che si veste di abiti diversi di epoca in epoca. Il mio obiettivo è quello ad esempio di raccontare storie che parlino di Messina, di Sicilia e che ricordino ai siciliani qual è la loro storia e mi auguro di dare il mio piccolo contributo con le mie opere”.
- Ancora graphic journalism con l’instant book del 2019 <…A casa nostra. Cronaca di Riace> edito da Feltrinelli con la sceneggiatura di Marco Rizzo. Ci spostiamo in Calabria, terra assai difficile ma anche terra d’accoglienza. Si parla di Mimmo Lucano e dei fatti di cronaca a lui legati e della baraccopoli di San Ferdinando dove anche stavolta avete lavorato sul campo. Persone vere e scene di vita quotidiana che prendono forma attraverso matita e empatia. Come è andata?
“<A casa nostra. Cronaca di Riace> è il seguito di <Salvezza>, cioè il racconto di ciò che accade a chi sbarca dalle navi di soccorso e arriva in Italia, che tipo di trafila è prevista e qual è il percorso dell’accoglienza. Noi abbiamo raccolto esempi diversi in Calabria: quello virtuoso di Riace, quello funzionale di Gioiosa Ionica dove le persone sono reinserite nell’attività lavorativa locale e non e infine quello assolutamente negativo e nefasto della baraccopoli di San Ferdinando, un vero e proprio girone dantesco in pieno Sud Italia”.
- Torniamo in Sicilia, almeno credo, e se ti va spoileriamo un po’ uno dei tuoi prossimi impegni all’orizzonte. Ho sentito parlare di due donne a cui noi messinesi siamo molto legati…
“E’ un progetto che ho già annunciato e per cui sto faticando parecchio. Si tratta del Vespro siciliano e in particolare della storia di Dina e Clarenza a fumetti. E’ un lavoro lungo che vedrà la luce nei prossimi anni a cui tengo moltissimo. Ci tengo affinché i giovani messinesi possano conoscere questa storia vittoriosa e positiva del nostro passato. Ѐ giusto ricordare il terremoto del 1908 perché è un evento importante, ma noi non siamo solo quello. Il racconto a cui sto lavorando è prima di tutto la storia di due donne, e non è così usuale, ed è la vicenda di un popolo che si è autodeterminato e che è riuscito a non farsi sottomettere dal potere soverchiante e quasi assoluto di allora. Messina ha resistito per ben settantadue giorni all’assedio dell’esercito angioino che poi dovette battere in ritirata perché nel frattempo nell’isola erano sbarcati gli aragonesi. Dante Alighieri definisce Messina <la Coraggiosa>, vuoi che non sia motivo di onore e orgoglio per la città? Ecco, sto cercando di raccontare questa storia a modo mio, con un fumetto”.
- Questo incontro è nato parlando di bellezza. Sarebbe bello concluderlo nello stesso modo. Nel 2017 realizzi per Beccogiallo <Sinai> in collaborazione con Fabio Brucini, autore di progetti in favore delle comunità beduine del Sinai. Insieme realizzate un diario di viaggio di quaranta giorni nel deserto. Nel tratteggiare tavole di pura bellezza, racconti ciò che hai imparato da chi il deserto lo vive: il valore di un tempo lento e la felicità di un tè goduto ad ogni sorso. Cosa ti è rimasto da questa esperienza?
“Ti annuncio che una nuova versione di Sinai uscirà nei prossimi mesi, sia in Italia che in Francia, con un’ampia sezione in più di circa quaranta pagine rispetto all’edizione del 2017, con storie e aneddoti relativi in particolar modo al mondo femminile nelle tribù beduine. Per quanto riguarda il Sinai, che dire, è un luogo che ha tanto da insegnarci e che a me ricorda parecchio la Sicilia dei tempi passati: l’ospitalità, la capacità di <ascoltare> il tempo nella suo naturale andamento, senza questa fretta continua, questa necessità di correre che non ti permette di vedere i <tafasil> , i dettagli, come dicono lì, i dettagli che danno il senso di ciò che fai. Certo, non è semplice in una società globalizzata come la nostra riuscire a vivere con quei ritmi però sicuramente alcune cose le possiamo fare nostre. Ad esempio il fermarsi e meditare con attenzione in certi momenti su determinati fatti della nostra vita, il fatto che i beduini pensino a loro stessi come i custodi del deserto che difendono e che non definiscono mai <il nostro deserto> ma casa comune, di tutti, di qualsiasi uomo. Il deserto per loro è il luogo dove gli uomini ritrovano la loro anima. Lo credo anch’io e penso che sia un patrimonio universale che consiglio a tutti di visitare specie se si hanno domande su se stessi e si voglia ritrovare il senso del proprio vivere. Ecco io lo definisco <uno specchio dell’anima>.
Come di consueto, il mio grazie al personaggio della rubrica di Siciliando dedicata ai talenti e alle eccellenze di Sicilia. Un grazie per i viaggi fatti, nel tempo e nello spazio, un grazie per un paio di occhi nuovi che sanno guardare attraverso un’arte che conosco poco, un grazie per l’impegno e la coerenza…che oggi è merce rara. Grazie Lelio.
Benedetta Manganaro