Vicepresidente e co-fondatore dell’associazione South Working – Lavorare dal Sud. Una chance per migliorare lavoro e qualità della vita al e dal Sud. E non solo
Trasferirsi all’estero per realizzare un progetto di lavoro. Spostarsi in un’altra città per trovare opportunità che siano il naturale sviluppo di attitudini, professionalità, esperienza.
Ci siamo abituati. Lo sappiamo. Al Sud in tanti hanno fatto e continuano a fare la valigia per accedere a un contesto lavorativo moderno e internazionale.
Oppure no.
Potrebbe esserci un’altra via.
Una via delineatasi per necessità con l’arrivo del Covid-19, che ci ha obbligato a scegliere una soluzione altra. Lavoro agile, smart working, chiamatelo come vi pare, in Sicilia e al Sud in generale South Working, please.
Un’evoluzione del concetto di smart working in un progetto a lungo termine con grandi potenzialità per il futuro.
L’idea è di un gruppo di palermitani – ma non solo – tra cui Elena Militello, ricercatrice presso l’Università di Messina, e Mario Mirabile, consulente nell’ambito delle trasformazioni urbane in chiave ESG per clienti all’estero e in Italia, e di tanti altri come loro, giovani cittadini del mondo.
Sono ormai 53 i volontari che attivamente collaborano con l’associazione South Working – Lavorare dal Sud, con il supporto della Fondazione Con il Sud e della rete Global Shapers – Palermo Hub, per promuovere il lavoro agile dal Sud e – ove possibile – dalle aree interne italiane, ma “più in generale da dove si desidera“, dato che il “Sud è relativo, siamo tutti il Sud di qualcun altro”.
Dottor Mirabile, South Working tra le sue azioni mira anche a un’indagine specifica del mondo del lavoro agile e ad aspetti ad esso correlati, grazie all’Osservatorio del South Working di cui è responsabile. Lo fa con un dialogo costante con i lavoratori, le aziende, le Istituzioni. L’Osservatorio studia il territorio ed evidenzia nuove prospettive. Ad oggi, ritiene che l’Italia sia pronta per una rivoluzione del genere?
- Stiamo studiando parecchio per rispondere a tutte le domande che ci poniamo. Sicuramente l’Italia non era pronta ad affrontare tutto ciò che sta accadendo, ma non possiamo fare altro che guardare avanti. In fondo, abbiamo superato quella retorica dell’utopia del lavoro dal Sud proprio a partire dal primo lockdown. La tecnologia, la pandemia, la necessità e la convenienza economica del lavoro agile in forma ibrida permettono di avviare questo cambiamento per un futuro del lavoro migliore. Bisognerà cambiare cultura aziendale a prescindere e avere un approccio concreto che guardi alla realtà sociale, culturale ed economica.
Il lavoro da remoto consente di vivere il proprio tempo in maniera più flessibile, ridurre le spese, scegliere il luogo dove lavorare. Luogo che spesso coincide con la terra d’origine e gli affetti più cari ma che può essere scelto anche in base ad un proprio stile di vita. Che il lavoro da remoto migliori la qualità della vita del lavoratore e che in tanti lo applicherebbero, è innegabile. Ma perché le aziende dovrebbero supportarlo?
- C’è anche chi sceglie di trasferirsi in un luogo al Sud diverso dal luogo di origine, ma riguarda un numero ristretto di persone privilegiate. Per quanto riguarda le aziende, i vantaggi sono evidenti: riduzione dei costi delle sedi fisiche; maggiori risultati in termini di produttività del dipendente; (per alcune) riduzione dei costi accessori del lavoro; maggiore flessibilità della gestione degli orari di lavoro; oltre che la possibilità dell’azienda di ridurre gli oneri per gli immobili strumentali.
Sono tante le aziende remote-friendly che, riducendo le postazioni, rimodulano e ripensano gli spazi liberi, affittandoli ad altre realtà di servizi.
E da un punto di vista lavorativo?
- L’analisi effettuata sino a questo momento indica un aumento della produttività che si attesta intorno al 10-15%. Le aziende lo sanno e da anni mirano a soluzioni più elastiche e dinamiche. Fastweb ha detto addio al cartellino ad inizio febbraio, Microsoft Italia lo aveva già fatto nel 2011, Siemens Italia nel 2018. Si pensa a benefit e coupon per chi sceglie lo smart working da utilizzare in assenza di servizi aziendali. Per non parlare della Pubblica Amministrazione che, se ben organizzata, potrebbe godere di grandi benefici dal lavoro agile.
Mi faccia capire meglio. Di che si tratta?
- La pandemia ha creato delle narrazioni diverse
dalla realtà, falsificando il modello del lavoro agile che fa riferimento alla
Legge 81/2017. Abbiamo operato secondo un modello di telelavoro emergenziale,
che è tutt’altra cosa. Il nostro compito è quello di lavorare per stimolare una
visione più ampia, seguendo i dettami della Costituzione all’art. 119 e del
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, artt. 174-178. Per una maggiore
coesione economica, sociale e territoriale sarà fondamentale valutare l’impatto
della presenza dei lavoratori sui territori, ma anche la loro produttività. Si
rendono, secondo me, indispensabili gli spazi di lavoro condivisi (coworking e
altri anche non tradizionali), capaci di fornire servizi e potenziare – o
quanto meno facilitare – il proprio lavoro all’interno di una comunità di
riferimento, fungendo da vera e propria infrastruttura sociale e permettendo la
nascita di nuove imprese sui territori. L’accesso ai servizi degli spazi di
coworking potrebbe anche essere coperto dall’azienda per cui si lavora. Sarà ulteriormente
fondamentale considerare questi luoghi “presidi di comunità”, come mi piace
chiamarli. Questi sono spazi di coworking, biblioteche, community hub, spazi
pubblici di condivisione e socialità, che possano essere intesi come dei veri e
propri luoghi di partecipazione dal basso, collaborazione, innovazione e
dialogo intergenerazionale per le comunità locali (nuove e preesistenti).
Attraverso la mappatura partecipata tutti possono contribuire a rendere più forti le comunità che il COVID-19 ha indebolito. Me ne sto occupando, insieme ad altri specialisti provenienti da diversi campi, nell’ambito del progetto “Geocoding communities” di cui sono responsabile.
La Pubblica Amministrazione, a tal riguardo, potrebbe giocare un ruolo chiave per la disponibilità di spazi dismessi o sottoutilizzati su tutto il territorio e in modo capillare che potrebbero essere utilizzare da privati o soprattutto da impiegati della PA che si muovono nel perimetro nazionale, lavorando da dove desiderano.
È un progetto ad ampio raggio. I protagonisti chiamati a partecipare sono davvero tanti.
- Non potrebbe essere altrimenti. Il nostro lavoro di indagine sul territorio ci impone interlocutori diversi, tutti protagonisti assoluti. Associazioni, singoli lavoratori, istituzioni. Ed è per questo che ci muoviamo su piani diversi, tutti essenziali. Spesso si pensa che il progetto portato avanti da South Working preveda uno spostamento fisico del South Worker da nord verso sud. È così nella maggior parte dei casi ma non è detto: un lavoratore può ad esempio preferire il piccolo centro alla grande città nel medesimo spazio geografico. In entrambi i casi è necessario che il territorio supporti il lavoratore nella sua scelta, mettendo a disposizione dei servizi.
Ad oggi è possibile una scelta di questo tipo in Italia? Penso ai piccoli centri a cui accennava, all’assenza di infrastrutture. Persino ad un fenomeno di digital divide, per nulla anacronistico. Abbiamo tutti (o quasi) uno smartphone e una connessione internet, ma non basta se pensiamo a cosa realmente è necessario per garantire efficienza e velocità nel mondo del lavoro. Prendiamo ad esempio la DAD: la didattica a distanza ha posto l’attenzione sulle criticità per un pubblico in fondo giovane di alunni, genitori e insegnanti spalmato su tutto il territorio nazionale.
- Le istanze che portiamo avanti con l’idea di South Working richiedono dei prerequisiti di base (connessione minimo 20 Mbps, soluzioni di mobilità che permettano di raggiungere i poli strategici entro due ore dalla località in questione e attivare “presidi di comunità”, come descritti in precedenza, anche con la collaborazione delle realtà associative e imprenditoriali locali. Per capire dove questi elementi sono garantiti allo stato attuale, all’interno dell’Osservatorio del South Working, stiamo conducendo un lavoro di mappatura del territorio italiano, in collaborazione con il Dipartimento MEMOTEF dell’Università La Sapienza, con il quale abbiamo firmato una convenzione recentemente.
Facciamo un passo indietro. Parlava di un incremento della produttività lavorativa che può raggiungere il 10-15%. Dati alla mano, funziona allo stesso modo per i dipendenti pubblici o serve solo a facilitare la vita ai «furbetti del cartellino»?
- Quello che mi sento di suggerire è che il modello di organizzazione del lavoro dello smart working, o lavoro agile, potrebbe funzionare in maniera efficace anche per la Pubblica Amministrazione. Pure in questo caso, l’emergenza ha evidenziato carenze e priorità che dipendono in parte dalla forma emergenziale adottata, viste soprattutto le difficoltà di recarsi in spazi di lavoro condiviso a causa dell’emergenza. Sarà necessario affrontare un processo di digitalizzazione rapido, sicuro, sostenibile ed esteso a tutta la PA. Sembra che anche il governo nazionale voglia lavorare in questa direzione, vedremo. Noi ci saremo per sostenere tale processo, per un futuro del lavoro migliore per tutti, da dove si desidera.
Si ringrazia il dott. Mirabile e tutto il team South Working – Lavorare dal Sud per l’alta professionalità e l’estrema disponibilità.
Benedetta Manganaro